Finalmente una sentenza della Cassazione che può fare sorridere chi ha problemi con l’Agenzia delle Entrate: ecco cosa cambia.
Pagare le tasse non piace ovviamente a nessuno, specialmente quando l’importo richiesto è davvero consistente (lo sanno bene le Partite Iva), ma sottrarsi è impossibile. Una volta portato a termine il proprio dovere, a sentirsi più leggero non sarà solo il portafoglio, ma anche il contribuente, che sa di non avere più alcun debito da gestire.
A volte, però, questo può non essere sufficiente. Come sa bene chi ha ricevuto successivamente una comunicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, che chiedeva altri soldi mettendo in evidenza un errore nel conteggio. In casi simili può esser inevitabile sentirsi nel panico, specialmente se la richiesta dovesse arrivare in un periodo in cui si hanno anche altre spese da seguire. Cosa fare, quindi?
È capitato certamente a tutti di trovarsi tra le mani una lettera dell’Agenzia delle Entrate arrivata in modo inaspettato e di provare timore non sapendone il contenuto. La paura si concretizza inevitabilmente quando ci si rende conto di avere un debito che non si aveva previsto. A maggior ragione se non si hanno risparmi da parte per regolarizzare la situazione.
In alcuni casi la segnalazione può arrivare perché l’ente si rende conto di un errore nel conteggio degli importi, per questo non può che chiedere quanto le spetta oltre ai relativi interessi. La cifra che ne consegue può essere davvero elevata, non è detto però che sia sempre dovuta. A dare speranza a chi si trova in questa situazione è una sentenza della Cassazione, destinata quindi a fare giurisprudenza e a cambiare le convinzioni di molti.
Il versamento potrebbe, infatti, non essere dovuto se lo sbaglio è avvenuto “in buona fede” da parte del contribuente. E non con l’intento voluto di pagare meno. Emblematico è quanto accaduto a un utente che aveva chiesto e ottenuto di poter rateizzare il suo debito. Il cui saldo era stato eseguito il 3 marzo 2014 e non il 28 febbraio 2014. Per l’Agenzia c’era quindi un ritardo effettivo, nonostante la persona interessata ritenesse di avere ragione, per questo aveva fatto ricorso. Sottolineando che il suo prospetto riportava proprio come data ultima il 3 marzo.
L’Agenzia delle Entrate ha continuato a sostenere di avere agito in modo corretto. Al punto tale da ricorrere anche in Cassazione, sulla base di un principio che riteneva fondamentale: è la legge che stabilisce come scadenza per il pagamento delle rate l’ultimo giorno di ciascun trimestre. Ragion per cui l’errore del contribuente – affidatosi a un prospetto errato – non sarebbe stato scusabile.
Alla fine gli Ermellini sono stati però dalla parte del contribuente, mettendo in evidenza quanto il suo sbaglio fosse scusabile. Questo concetto è riscontrabile anche nell’articolo 10 dello Statuto del Contribuente. Secondo cui i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria debbano essere improntati al principio della collaborazione e della buona fede. Non possono, quindi, essere pretese sanzioni o interessi di mora nel caso in cui l’errore del contribuente sia stato causato dall’essersi conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria. E dalla stessa successivamente modificate.
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